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Tremate, le femminucce son tornate

🍎🎃Stavo bighellonando per i fatti miei e della mia mente, nella mia mente, quando qualcosa mi ha colpito come la mela di Newton: in piena zucca.

📕👠Alla presentazione del libro tenevo la bocca aperta come fanno i bambini davanti alla TV; chiudila che entrano le mosche, mi dicevo da sola. In verità, non ho mai capito il senso del detto, a meno di non mettersi a guardare la TV dentro una stalla di bovinə o equinə. In verità, mi dico di chiudere la bocca quando mi accorgo che la spalanco dallo stupore solo perché ho paura di sbavare, vedi mai che faccio la bava come i vecchi e manco me ne accorgo.

L’idea (ovvero la mela) è una faccenda complessa, star qui a spiegarla tutta v’annoio per niente. La sintesi più estrema: per cambiare bisogna inventare, per inventare bisogna volere, per volere bisogna capire e per capire bisogna conoscere. Una catena logica che determina una riflessione agre, ovvero: non mi posso lagnare che la società fa schifo se l’utopia campanelliana che c’ho in testa io me la tengo tutta dentro come l’uovo nel didietro della gallina. 🐓

👉Tanto a me di controllare uova non mi interessa un bel niente, le regalo pure, che ne faccio una o più al giorno. Sono una pollastra prolifica, io. In termini metaforici, si capisce.

♠️😷Ecco allora che mentre Federippi spiegava perché non è parlare a vanvera rispondere picche a chi ci mette il bavaglio in quanto donne, mi sono decisa a rimontare in sella (e ritorna il leitmotiv della stalla; Freud, mi devo preoccupare?)

Ripartiamo dalle parole, ho pensato. Alla fine, io ci lavoro con le parole, una in più o una in meno mica mi affatico e vedi mai che magari invece ne nasce pure qualcosa di buono – se è vero che bisogna comunicare per evolvere. Di sicuro non può venirne male, dalle mie parole, in quanto al massimo sono parole al vento e il vento non è un essere senziente. Di parole che fanno male non ne userò nessuna. 🙅‍♀️

Certo, tutto è relativo, se a qualcunə fa male la verità allora beh, il problema sta nei fatti non nei mezzi per descriverli. Per esempio, come chiamiamo una donna in gamba, degna di stima, un esempio di forza, una role model?

Federippi, con sagacia ed ironia, propone il termine femminuccia. Scrive:

«Non fare la femminuccia.

Quante volte avete sentito dire questa frase? Non solo nella quotidianità – che già di per sé abbonda di riferimenti linguistici sessisti – ma anche in film, serie TV… insomma, ovunque. Non fare la femminuccia, parafrasato: non fare il debole, non essere ti-mido, tira fuori il coraggio, reagisci, fai l’uomo, comportati da adulto. Declinato al maschile, sempre, perché è solo ai maschi che viene rivolto questo imperativo – camuffato da invito – a mostrare al mondo di cosa sono capaci senza distaccarsi dall’unica idea socialmente accettata di mascolinità. A noi no. Noi, che femminucce già lo siamo, non abbiamo molte alternative di rivalsa sullo stereotipo che ci è stato appiccicato addosso.

La convinzione che la debolezza debba essere associata alle donne, o meglio, a qualsiasi cosa concerne la femminilità, si regge sulla nostra sistematica esclusione dai libri di storia, dalla politica, dalle classifiche musicali, dalla ricerca. In realtà, se cerchiamo bene, ne troviamo qualcuna un po’ defilata, ma anche lì ci vengono raccontate sempre come “l’eccezione nel mucchio”, “l’eccellenza che vale la pena ricordare” o “il caso su mille”.

Teoricamente dovrebbe essere perfettamente normale – anche solo per una questione statistica – che persone di generi diversi convivano in ogni ambito sociale e professionale, che raggiungano, per esempio, traguardi rilevanti e venga loro riconosciuto, giusto? Ecco, nella pratica, invece, questo è perfettamente normale solo in un mondo ideale in cui le discriminazioni di genere sono un lontano ricordo, perché ora come ora lo spazio a noi riservato è piccolo piccolo.

Non mi chiedete come sia possibile, il patriarcato agisce per vie misteriosissime, ma si tratta di un doppio inganno: prima ci insegnano che eccellere ed essere ricordate dev’essere il nostro obiettivo principale, poi ci dicono che in realtà non c’è posto per tutte.

Una sola, al massimo un paio. In sostanza, per arrivare in cima dobbiamo gareggiare con le altre. E se fossimo stanche di partecipare a questa gara? E se non ci andasse di essere delle eccellenze?

Avremo anche noi diritto a una sacrosanta mediocrità, o no? Sui libri di storia sono documentate le gesta di tantissimi maschi me-diocri, perché noi invece dovremmo aspirare a guadagnarci uno spazio in quelle pagine?

Il fatto è che dicendoci da sempre che viviamo in un mondo di maschi ci siamo abituate a sentirci l’eccezione.

Voglio prendermi questo spazio per rivendicare con decisione la nostra presenza ovunque, allontanandomi il più possibile dallo stereotipo duale della donna forte che ha lottato per arrivare dov’è arrivata o della povera vittima di un sistema che non l’ha voluta, riducendoci sempre a figure bidimensionali senza ombre e prive di complessità. C’è poco da fare, finché si parlerà di noi solo in un modo, esisteremo solo in quel modo. Dunque, è tempo di fare nostra la narrazione complessa che si addice molto meglio a un racconto di esperienze.

E allora partiamo da qui, insieme, visto che la rivoluzione si fa anche attraverso il linguaggio: sì, siamo femminucce e ne andiamo pure fiere. Nel riprenderci la complessità che ci spetta, ci riprendiamo anche questo termine, e il suo significato, adesso, lo decidiamo noi. Anzi, gliene faremo mille di significati perché noi femminucce rifiutiamo l’idea che esista un modo univoco di vedere le cose. Il vostro singolo fascio di luce passa attraverso il nostro prima e si separa in tutti i colori del mondo. Da oggi, le femminucce smettono di essere il vostro standard di debolezza assoluta.» Femminucce. Donne che cambiano le regole. Rizzoli 2023

A me proprio non dispiace questa visione ribaltata del linguaggio, è di buon auspicio: magari ne esce pure un ribaltamento del reale!

Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com’è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa! Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe!

Alice nel Paese delle Meraviglie

🦄 In questo sito, tutte le volte che leggerò o scriverò la parola femminuccia intenderò dire proprio ciò che intende l’autrice dell’omonimo bel libro – un pamphlet politico praticamente: una donna (o un uomo, non conta più di tanto) che spacca, stacca, vale e vola. Spero che tuttə le autrici e gli autori adotteranno il termine, secondo me si merita un posto a capotavola nel nostro lessico famigliare.

Qual è stata la vostra prima femminuccia? Ha chiesto Federica Fabrizio quella sera

💭😶‍🌫️Nella mia mente, il nonluogo bello in cui mi perdo per ore senza soffrire mai di solitudine o di noia, sono comparse le faccette belle di decine di femminucce. Ad esempio, una stava seduta di fianco a me, una mi ha messo al mondo, una mi somiglia, almeno tre sono quelle che mi si piglia(no). Due sono tigri di Mompracem, una è un colibrì-brillante, un’altra una coccinella tenace; più di una mi ha esaminato, qualcuna mi ha migliorato. Una da piccola mi ha curato (e poi ci ho pure litigato, ma l’amore tutto ha sanato).

E voi, conoscete almeno una femminuccia?

🙋‍♀️Giochiamo alla catena di Sant’Antonia: alla fine del post scrivi il nome della tua femminuccia, lei descriverà la sua lettura del lessema e citerà una femminuccia a sua volta. E via così. È un censimento, vediamo se riusciamo a fare il giro del mondo (in 80 giorni o più). Io chiamo: Céline.

🥚Citazione contenuta nel titolo: https://www.losbagliato.it/chi-siamo-2/

Foto credit: Chibi-Joey on Deviantart

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