[Inclusione🦄] Pazza l'idea [Istruzione🎒] L'educazione delle bambine

Ti piace il calcio? Pregiudizi e stereotipi di genere in classe

Sono un’insegnante che ha fatto i conti con l’educazione delle bambine attraverso l’esperienza sul campo. Sul campo, infatti, ho scoperto che educazione è una parola che si dà per scontata, appare evidente a tutti in che cosa consista: istruzione, docenza, trasmissione di contenuti e regole. 

Nella vita vera e vissuta, tra banchi, corridoi e cattedre, invece, si scopre che l’etimologia di educazione (dal latino e-ducere, tirare fuori) viene sottovalutata, confusa con altro.

Educare vuol dire trarre fuori ciò che c’è dentro e invece noi personale della scuola, noi genitori, noi nonni, noi società, ogni io individuale che si sente parte di un noi in rapporto con chi deve essere educato – bambine e bambini – ogni volta che siamo chiamati a svolgere ruoli e compiti educativi non cerchiamo di estrarre da loro qualcosa, ma cacciamo dentro. Tendiamo infatti a indottrinare, etichettare, classificare i comportamenti, identificati tutti attraverso le nostre categorie culturali ed i costrutti sociali. 

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Chiaramente a scuola bisogna anche insegnare, non solo educare, i contenuti vanno trasmessi a studentesse e studenti. Tuttavia il significato originario della parola educare è interessante, indica la guida (ducere, condurre), ma anche il moto – da dentro verso fuori. Curioso, perché invece fin troppo spesso si mette il pilota automatico, anche con ragazze e ragazzi in classe, lasciando che le caratteristiche di default dei tipi sociali, delle azioni convenzionali che abbiamo nella mente si mettano sopra alla libera espressione di chi deve essere guidato – dal proprio io interno verso il fuori.

Ai bambini e alle bambine non viene chiesto di esprimere se stessi, in prima istanza, ma di imparare un modo preciso e specifico con cui stare al mondo; i bambini e le bambine conoscono se stessi nella propria intima libertà espressiva, ma devono fare i conti con un processo di adeguamento di se stessi entro i confini di credenze e strutture fornite dal mondo adulto.

La mia esperienza nella scuola, a contatto con bambini dai 6 ai 10 anni,e la mia esperienza nella vita a contatto con nipoti e nipotine mi permette oggi di domandarmi se non sia ancora troppo forte e connotata in modalità binaria la determinazione educativa, che spinge i/le piccoli/e in direzione di attese ben individuate e marcate: comportamenti da maschio VS comportamenti da femmina.

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I bambini e le bambine conoscono se stessə nella libertà della loro espressione; questo inevitabilmente lə conduce a vivere un disagio espressivo se nel contesto scolastico sentono la pressione a dover coincidere con stereotipi di genere: non hanno la possibilità di darsi e dirsi, finché sono primariamente impegnati a soddisfare le aspettative dettate dagli ambiti in cui si imparano a muovere (contesto educativo, familiare, sociale).

Bambini e bambine della classe spesso rivolgono questa domanda: perché no?

La risposta comoda che il mondo educativo talvolta fornisce è: perché sei un maschio / sei una femmina; ancor peggio: perché non sei un maschio / perché non sei una femmina

Il genere è una costruzione culturale, non coincide necessariamente con il fenotipo biologico dell’individuo, ma è come una scatola che la società appioppa a ciascuno sin dall’infanzia e che contiene tutte le prescrizioni di ciò che lui/lei dovrà fare per rispondere bene e conformemente ai desideri della società stessa. Le prescrizioni cambiano in base al paese, alla lingua, al tempo, al fatto che sulla scatola ci sia una X o una Y. Convenzionalmente, a tutti i bambini diamo la scatola Y, quella blu, alle bambine la scatola X, quella rosa. E se per qualcuno la scatola di un certo colore fosse troppo pesante o scomoda? Sarebbe un problema aprirla e togliere un poco del contenuto? Magari ci si può scambiare qualche istruzione, come si fa con le figurine. 

L’essere maschio o femmina, per nascita, è una cosa; il fatto di comportarsi da maschio o da femmina è un’invenzione. Il sesso dell’individuo non deve determinare il suo obbligo a indossare un vestito preconfezionato, non ce n’è bisogno. Le mie bambine e i miei bambini sono in se stessi tutto ciò che sentono di voler essere e lo manifestano in classe attraverso l’uso di colori (nessun problema se un bambino usa il rosa e la bambina il blu, i colori sono gender blind!), di giochi (chi ha detto che ci sono giochi da maschio e giochi da femmina? I giochi sono per tuttə quellə che hanno voglia di giocarci e si impegnano a farlo, con correttezza ed entusiasmo). 

In un clima di libertà dal pensiero stereotipico viene allora fuori che non esiste – nel mondo mentale dei bambini e delle bambine – una classificazione di genere netta. Sanno benissimo se sono nati bambino o bambina, ma “le cose da maschio” e “le cose da femmina” sono un’invenzione dei grandi, adulti che si sono voluti complicare l’esistenza nel maldestro tentativo di semplificarla (con le categorie fisse). 

Dico che la categoria maschile e femminile non è esistente ab origine perché i bambini e le bambine chiedono spesso conferma, non lo sanno in modo innato; imparano con il tempo a padroneggiare la classificazione, se glielo si impone (sempre che si ritenga giusto farlo, secondo me è un peso inutile). 

Facciamo un esempio:

Beatrice: Maestra, ma è vero che Lara sembra un maschio?

Maestra Céline: Perché?

Beatrice: Perché gioca a calcio con i maschi

Maestra Céline: Probabilmente ci gioca perché a Lara piace il calcio. No?

Beatrice: Sì.

Maestra Céline: Perché pensi che il calcio sia maschio?

Beatrice: Perché a casa se lo vede solo mio papà e mamma dice son cose da maschi.

Maestra Céline: Beatrice, a te piace il calcio?

Beatrice: E’ una cosa da maschi.

Maestra Céline: Tesoro, ti ho chiesto un’altra cosa: a te piace il calcio o non ti piace?

Beatrice: Sì, a me piace quando vedo Lara che ci gioca

Maestra Céline: E vorresti giocarci anche tu?

Beatrice: Posso?

Maestra Céline: Certo, Beatrice, che puoi. Vieni, ti accompagno.

Con naturalezza, i bambini e Lara che stanno giocando a calcio insieme accolgono Beatrice che vuole per la prima volta giocare a calcio. Naturale no? Perché il calcio non è roba da maschi ma è un gioco con regole e obiettivi ludici tanto quanto quello di disegnare abiti per le bambole.

Facciamone un altro.

A Carnevale i bambini e le bambine della quarta elementare vengono in classe travestiti, con maschere, trucchi, unghie finte, accessori vistosi. Nella mia classe, solo un bambino, Mario, non viene travestito da Carnevale. Durante la ricreazione chiede a delle compagne di poter avere il loro cappello e la loro sciarpa pelosa.

Greta: Maestra! Antonio si traveste da femmina! E’ gay?

Maestra Céline: Tesoro, tu sei travestita da Dracula! Sei un vampiro?

Occhi degli occhi, la risposta di Greta è: Giusto! 

Basta poco, basta davvero poco per resettare i nostri schemi disfunzionali e le credenze che ci ingabbiano, ci limitano e ci fanno diventare l’altrə carnefice dell’altrə.

Amo le mie bambine e i miei bambini!

Foto Credit: Alliance Football Club su Unsplash

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